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Enzo Scaini, il ‘gigante buono’

Enzo Scaini, trentasette anni fa la tragica operazione

Un sorriso da ragazzo semplice, genuino, con tanta voglia di calciare un pallone e sognare di diventare sempre più grande. L’abbraccio con i compagni, sotto la neve, e quei calzettoni sempre calati alla caviglia che permettono al fango di aggrapparsi alle ginocchia. Enzo Scaini, per tutti il ‘gigante buono’, ci lasciò tragicamente il 21 gennaio del 1983. A trentasette anni dalla sua scomparsa ripercorriamo parte della sua storia.

Una storia sbagliata, come direbbe De Andrè, ma allo stesso tempo una storia da ricordare. Enzo nasce a Varno, un piccolo comune friulano a pochi chilometri da Udine e con il pallone dimostra subito di saperci fare e tanto. La sua carriera da calciatore decollò proprio su questo campo di Sant’Angelo Lodigiano, lì dove venne scattata questa istantanea in bianco e nero. Faceva freddo quel giorno nella provincia lombarda ma Scaini e compagni riscaldarono gli animi dei presenti a suon di gol. Non sappiamo se Enzo segnò in quella precisa gara, ciò che sappiamo bene, invece, è che aveva un mancino micidiale che spesso non lasciava scampo ai portieri avversari, tanto che in quell’anno di reti ne segnò ben 13. Qualità tecniche che impressionarono anche i dirigenti della vicina Monza che decisero di puntare su di lui l’anno seguente.

 

Il talento friulano vestì con fierezza la maglia del Campobasso in serie C nella stagione 1979/80

enzo scaini campobassoEra grande Enzo, alto da sfiorare il metro e novanta con due spalle larghe e gambe possenti, ma quando arrivò a giocare per la prima volta al Sud, a Campobasso, con un pizzico di timore confidò agli amici: “Non sono mica tanto felice, vado a giocare in mezzo ai Lupi”. Quel Campobasso del 1979 era stato plasmato dal direttore sportivo Ernesto Bronzetti il quale fece di tutto per portare Scaini in Molise, sborsando al Monza ben 150 milioni di lire. Erano i rossoblù del presidente Falcione, una squadra che doveva andare a vincere il campionato. Quell’anno, però, nonostante i sei gol d’autore siglati da Scaini, il Campobasso finì la stagione alle spalle del Catania, del Foggia e del Livorno. Il salto in serie B bisognerà attenderlo ancora qualche anno. Per Enzo, in ogni caso, l’esperienza in Molise fu tra le più felici della sua carriera, paragonabile, a detta della famiglia, solo all’affetto trovato a Sant’Angelo Lodigiano.

Il Gigante venuto dal nord

I tifosi del Campobasso si affezionarono subito a quel ‘gigante buono’ venuto dal nord e salutarono con un velo di malinconia il suo approdo al Verona a fine stagione. Gli anni per Enzo passano come un battito di ciglia, la sua vita corre come un pallone inarrestabile e arriva così anche il campionato con la maglia del Perugia e poi l’approdo a Vicenza e qui l’opera drammatica che ce lo portò via. Era il 16 gennaio del 1983 il Lanerossi Vicenza gioca in trasferta a Trento, un contrasto in mezzo al campo, Scaini cade a terra dolorante: rottura dei legamenti. Un infortunio balordo, il più temuto tra i giocatori. Bisogna operarsi. L’intervento è fissato per il 21 gennaio presso la clinica Villa Bianca di Roma, si dice che possa tornare a correre dopo qualche mese. L’operazione è stata eseguita. I medici sono soddisfatti e la definiscono ‘ben riuscita’, ma intorno alle 10:30 Enzo Scaini muore e con lui svaniscono i sogni di un giovane sorridente che nella vita faceva il calciatore.

Enzo vola via quasi in silenzio, senza che la stampa gridi alla tragedia. Si scoprirà anni dopo che Enzo era affetto da una malformazione cardiaca che non era mai stata diagnosticata. Oggi la sua storia è racchiusa in un libro ‘Non ero Paolo Rossi’, un titolo che riprende le parole dette da Campana, presidente dell’associazione italiana calciatori, al quale venne chiesto perché di questa storia nessuno ne parlava. Oggi del nostro gigante buono ne parliamo noi, nel nostro piccolo, consegnando il suo sorriso, il suo abbraccio, alle nuove generazioni di tifosi rossoblù che siamo certi ne avvertiranno l’ingiustizia e il dolore, oggi, come 37 anni fa.

A. Vertolo in collaborazione con Stefano Castellitto

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